La chiesa della Madonna del Santissimo Rosario, detta anche di San Vincenzo Ferreri, e i resti del convento di San Domenico (ubicati sul retro fra il Giardino Ibleo, la scuola elementare e l’ex centrale elettrica) rappresentano, insieme a quello francescano , un esempio di complesso conventuale tra i più antichi di Ibla.

Sembra che questi edifici sorgessero attorno al 1500 ad opera di un predicatore domenicano, tal frate Vincenzo da Pistoia, il quale molto influenzava le genti iblee contro gli ebrei (fatti che nel 1474 dalle terre spagnole si erano propagati anche in Sicilia e tragicamente si erano conclusi con la rivolta popolare di Modica, dove egli stesso aveva predicato, causando centinaia di morti). Il predicatore con il suo carisma organizzò una colletta popolare e si fece costruire il convento ed una piccola chiesa.

Prima del terremoto il complesso doveva esser di molto diverso, inserito in quell’area sacra che già dai Chiaramonte si era iniziata a delineare per la zona orientale dell’abitato. C’era il grande e nuovo San Giorgio , alle spalle San Teodoro e Sant’ Agata ed accanto San Giacomo .

Ciò che vediamo oggi della chiesa e del convento sono il rifacimento del dopo terremoto. Una semplice facciata limitata lateralmente da paraste e da una balaustra sommitale, mentre il portone delimitato da colonne con capitelli corinzi presenta un timpano spezzato con finestra, utile più che per far penetrare la luce all’interno, per predicare. Del complesso precedente rimane ben poco. All’esterno sul lato sinistro resta una parte del chiostro distrutto durante la costruzione sia della scuola che della ex centrale elettrica; da qui si nota una porta di accesso alla chiesa posta ad una quota inferiore dell’attuale pavimento della chiesa ed oggi murata, datata 1622. All’interno tra le altre date precedenti il sisma quella di una tomba del 1637.

Pur se duramente colpita dal terremoto ibleo nel 1698 è già in via di ricostruzione. Si ricostruì anche il campanile (recentemente restaurato) che risale al 1718 ed è caratteristico per la forma a pagoda e per l’inconsueta realizzazione con elementi ceramici policromi. Delle tre campane rimane la maggiore, firmata da un fonditore chiaramontano, datata al 1770, le altre sono del 1870 e la più piccola presentava la data consunta. Caratterizzata dalla semplice pianta a navata unica, presenta un portico con sovrastante cantoria la quale conteneva un organo e che si affaccia verso la sottostante aula con una triplice arcata, e da cui si accede anche alla cella campanaria. La chiesa possedeva sette altari (disposti alternati ad archi adorni di grandi quadri salvati altrove dai membri della Confraternita) in un’unica ampia navata; solo il maggiore oggi si conserva, gli altri erano realizzati in pietra, gesso, legno e vetro dipinto tale da simulare il marmo. Il presbiterio con abside semicircolare è separato dalla navata da un arco trionfale caratterizzata da sei colonne, di cui le due centrali tortili fortemente decorate, e dai cui capitelli si affacciano teste di putti scolpiti (sono di gesso come di gesso e finte anche molte colonne). Sull’altare maggiore la cappella è finemente decorata a stucco; l’arco di volta porta la data 1735 e si riferisce probabilmente al completamento dei temi rappresentati (la scena mostra una Gloria del Dio padre con Gesù in Paradiso, lo Spirito Santo e gli Angeli osannanti); un fregio con fiori, frutti e scene di paesaggio, caratteristico del tardobarocco, corre tutt’intorno. Gli stucchi furono realizzati da Onofrio Russo, un allievo di Giacomo Serpotta fra il 1731 ed il 1734. Nell’abside a sinistra si apre una porticina utilizzata per il passaggio nell’oratorio dei membri della Confraternita di San Domenico, sull’unico altare c’era un dipinto della Madonna del Rosario con i Santi Domenico, Caterina e Vincenzo Ferrer. Le cronache riportano al terzo altare di destra un pregevole quadro della Sacra Famiglia del 1768 di anonima mano ed altri molto belli (in particolare 14 piccoli quadri raffiguranti i misteri del Rosario che attorniavano un quadro della Madonna), mentre si ricordano i drappi del XVI secolo con cui si adornavano le pareti della chiesa nei giorni di festa. Il soffitto, crollato definitivamente negli anni sessanta, era ligneo con tavolato riccamente dipinto raffigurante scene di Santi e Beati dell’ordine domenicano. Tra le altre opere si ricorda una tela con il Martirio di San Pietro e l’altra dedicata a San Domenico, oltre ad un fonte battesimale a vaschetta ancora presente. Nella sacrestia rimangono le cornici in cui erano ritratti i Priori del convento. Dall’oratorio per una piccola porta, infine, si accedeva al chiostro del convento di cui se ne può ammirare solo un’ala visto che il resto, come già detto, è stato distrutto al momento della costruzione sia della scuola elementare che della centrale elettrica. Il convento non era molto grande, ma gli ambienti interni erano spaziosi e confortevoli. Il piano superiore era collegato con quello terreno da un’ampia scalinata fatta realizzare, con grande elargizione di somme, da un facoltoso conventuale. Una serie di lavori di riammodernamento furono realizzati sul finire del XVIII secolo. Molti i frati importanti e pii che vi dimorarono; era, inoltre, buona regola dei conventuali l’appartenere a nobili famiglie che garantivano cospicui lasciti (da un manoscritto settecentesco si apprende che la presenza di un frate di povere origini aveva recato scandalo). Con l’avvento del Regno la proprietà passava al Demanio e nel 1928 il convento veniva concesso al comune per la realizzazione delle scuole elementari maschili. Adeguata la struttura alle nuove esigenze così rimase sino agli anni cinquanta, quando essendo ritenuto inadatto dalle crescenti richieste, si abbattevano le vecchie fabbriche per realizzare l’attuale edificio scolastico.
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